Storie Brevi


Delshandra Lahabiel
Qualche anno fa ho scritto questo racconto sulla furbizia di una splendida mezza Nienphe e mezza Hielf con un carattere tutt'altro che facile: Delshandra Lahabiel. La bravissima Valentina Vanasia, inoltre, ha fatto un bellissimo disegno in digitale del personaggio che vi invito a guardare qui.
Se volete scoprire qualcosa più sul suo caratterino , continuate a leggere!


Quella notte pioveva così tanto che sembrava che il dio Edrahel avesse deciso di inondare tutta la città di Delpharc per lavarla dai suoi peccati. Nessun essere vivente, umano o animale che fosse, si sarebbe sognato di stare fuori con quel tempo. Le taverne erano stracolme e, per la gioia degli osti, tutti ordinavano qualcosa di caldo per rinfrancare l’animo.
Al “Vento dell’Ovest”, un’osteria frequentata solo da chi poteva spendere abbastanza per mangiare cacciagione fresca e bere vino non annacquato, c’era così tanto da fare che il padrone aveva la camicia madida di sudore e il viso dello stesso colore della specialità della casa: gelatina ai lamponi. Joban, così si chiamava l’uomo, era al settimo cielo per quanto gli stava fruttando la serata. Non credeva molto in Edrahel ma si ritrovò a ringraziarlo della sua collera visto che erano anni che non guadagnava tanto.
D’un tratto la porta si aprì ed entrò una figura alta e snella, avvolta in una cappa fradicia. Dopo essersi scrollata un po' di fango dagli stivali, imprecando in una lingua mai sentita da quelle parti, cercò il camino più vicino per scaldarsi. I due buttafuori del locale si avvicinarono subito al nuovo arrivato per avvisarlo che non c’era più posto a sedere ma, appena incrociarono i suoi occhi, le parole gli morirono in gola. I due, che fino a poco prima sembravano delle tigri sul punto di sbranare una preda, alla vista del nuovo ospite divennero due gattini addomesticati.
«Fatemi un favore, cari», disse una voce femminile molto spigliata e naturalmente affascinante. «Sistematemi il mantello vicino al camino. Detesto indossarlo se è ancora bagnato.»
Detto questo, si svolse la cappa di dosso e, da quell’ammasso di stoffa informe, emerse una donna dalla sensualità travolgente. Buona parte degli uomini presenti in sala abbandonarono le loro conversazioni per rivolgerle uno sguardo.
Il buttafuori più alto eseguì la richiesta della ragazza senza emettere un fiato mentre l’altro dimenticò il motivo per cui si erano avvicinati. La donzella, che dimostrava circa venticinque anni e indossava abiti ricercati, si avvicinò al bancone ancheggiando col proposito di farsi desiderare da tutti i presenti. Quando arrivò di fronte a Joban, alcuni liberarono per lei una sedia mentre tutti altri si strinsero per farle un po' di posto. Ringraziando con fare accattivante, posò i gomiti sul piano di legno.
«Buona sera, oste», disse, trovando divertente che lui non riuscisse a guardarla negli occhi. «Mi manda Lionel Green, sono sua cugina. Noterà la somiglianza, immagino.»
Lo sguardo di Joban, che indugiava inebetito sulla scollatura della nuova arrivata, si decise infine a risalire al viso della giovane. Non aveva mai visto qualcuno dai lineamenti così eterei e si domandò se non fossero il frutto di un incantesimo. Aveva le iridi dello stesso colore del muschio, racchiusi in occhi dalla forma allungata che parevano disegnati da Edrahel in persona. I capelli, ricci e lunghi fino alla schiena, erano così lucenti e morbidi che davano l’idea di mille fili di rame appena liberati da un rocchetto immaginario. Non si domandò com'era possibile che fossero asciutti e neanche come mai non somigliasse affatto al buon vecchio Lionel. Un attimo dopo, i suoi occhi erano di nuovo rivolti alle forme della ragazza.
A quel punto anche lei si guardò gli abiti, provocanti e così profumati da sembrare fatti con petali di rose, e per un attimo le balenò il dubbio di avere qualcosa fuori posto. Poi tirò fuori un sorriso di circostanza, quasi forzato, e si abbassò fino ad entrare nella visuale di Joban.
«La pioggia di questi giorni ha costretto Lionel a letto e io», spostò i capelli dietro una spalla con un movimento del capo ben studiato, «be', io mi sono gentilmente offerta di sostituirlo. Le mie doti canore superano mille volte le sue, ve ne accorgerete subito.» Sorrise e i suoi denti, bianchi come il latte, le illuminarono il volto. «Mi hanno detto che qui si esibiscono soltanto musici di fama accertata, ma vi assicuro che il mio nome vi è sconosciuto solo perché sono arrivata da poco in questo continente.» A quel punto si guardò intorno, apprezzando l’ambiente circostante. «Questo posto è elegante al punto giusto, oserei dire quasi alla mia altezza. Non mi dispiacerà esibirmi qui. Spero solo che possiate permettervi una come me.» A quel punto, tornò all’oste con un sorriso malizioso. «Vi assicuro che sono cara, ma ne valgo la pena.»
Come se avesse appena ricevuto uno schiaffo in pieno viso, Joban uscì dallo stato estatico in cui era caduto.
La sua espressione tornò a essere quella di un comunissimo uomo d’affari che sente puzza di un’ingente perdita di guadagni.
«Per me va bene», replicò stringendo gli occhi, in segno di scetticismo. «Ma ti avverto: se non sarai all’altezza del vecchio Lionel, non ti pagherò neanche un Fiore di bronzo. Intesi?»
Lei rimase interdetta da quella risposta e portò una mano al petto, offesa.
«Siete serio? Dovrei esibirmi tutta la serata senza essere certa di recevere un compenso?»
«Dipende da te, dolcezza», Joban le lanciò un sorriso beffardo che somigliava molto al grugno di un maiale. «Come hai detto tu stessa, “Il vento dell’Ovest” è una locanda di gran classe. Io sono responsabile di tutto ciò che accade qui dentro, comprese le esibizioni.» Il suo sorriso divenne malizioso e ammiccò. «Sarai anche una gran bella vista, ma se non hai anche altre doti, mi vedrò costretto a rispedirti a casa a mani vuote.»
La ragazza si rabbuiò per un istante, avendo perfettamente capito le intenzioni dell’oste. Eppure, ricambiò il sorriso come se nulla fosse accaduto. Anzi, come se fosse entusiasta della piega presa dalla conversazione.
«Capisco benissimo il vostro punto di vista, mio caro oste! E date queste stimolanti prospettive, che oserei definire una sfida al mio talento, ho deciso di proporvi il mio miglior repertorio!» Si voltò e riprese a ondeggiare i fianchi mentre si allontanava. «Giuro sul mio onore che alla fine della serata non vi porterò rancore… Comunque vada!»
Appena i due non furono più in grado di vedere l’uno l’espressione dell’altra, si lasciarono andare entrambi a un sorriso furbo, che pregustava già la vittoria.
La giovane raggiunse l’angolo dove si esibivano i musicisti, ovvero un palco di legno rialzato circa un metro da terra, e vi salì sopra con la grazia di un gatto. A quel punto tirò fuori dalla sua borsa una coroncina fatta con foglie d’oro. Ci soffiò sopra per togliere qualche impercettibile granello di polvere e poi la indossò con un certo vanto.
Fatto questo, rovistò di nuovo nella borsa e questa volta ne estrasse un’arpa da ginocchio. Era molto più grande della borsa e questo permise ai più attenti di immaginare che quest'ultima dovesse essere incantata. Lo strumento era costruito con legno bianco e sopra vi era scolpito un albero, mentre su due estremità vi erano dei ganci che si attaccavano a una tracolla in cuoio decorata in modo elegante.
Indossato lo strumento, la ragazza scrutò l'oggetto con attenzione, come per sincerarsi che la pioggia non l'avesse danneggiato, e poi cominciò a pizzicare le corde con grazia.
Nella sala si diffuse una melodia dolce ma allo stesso tempo ben scandita. Il ritmo era serrato, senza margini di errore. Le dita della giovane, lunghe e affusolate, si muovevano sullo strumento con una velocità e una precisione impressionanti, senza dare il minimo accenno di esitazione. I più attenti si resero conto che utilizzava solo le note acute e che le vibrazioni dello strumento creavano una sorta di ammaliamento acustico che attirava l’attenzione di tutti i presenti, inducendoli a zittire.
Come un serpente che immobilizza la preda con il suo morso, infatti, la musica si stava insinuando nelle menti degli ascoltati senza che essi se ne accorgessero.
Prima di prendere iniziative, la ragazza si guardò intorno con aria felina: schiuse le labbra solo quando fu certa di avere l’attenzione di tutti. Nessuno escluso.

«Prestate attenzione amici miei,
fate ciò che dico e diverrete tutti dei.
Se quest’ode nel cuore accoglierete,
a nuova vita subito nascerete.»


La sua voce era dolce e suadente, incredibilmente irresistibile. Il pubblico, compresi camerieri e buttafuori, non riuscivano a staccarle lo sguardo inebetito di dosso.

«Questa sera penserete solo a festeggiare!
Dimenticate gli affanni e lasciatevi trasportare
da questo canto per niente complicato
che vi insegnerà la bellezza del creato.
Il silenzio in riva al mare,
la rugiada sopra un fiore,
le stelle che brillano nel cielo,
vi regalano pace, non è forse vero?
È questo il mio segreto
la verità in cui io credo:
l’oro non regala la felicità,
riscopriamo la semplicità!»


A quel punto la giovane fece di nuovo quel movimento col capo che le lanciò con grazia i riccioli dietro la spalla. Sorrise compiaciuta e cantò il ritornello con forza e determinazione.

«La ricchezza è una follia,
conduce solo alla pazzia.
Ma se cerchi redenzione
ti do io la soluzione:
batti le mani e pensa che
la povertà ti farà re!»


Buona parte dei presenti cominciarono a battere le mani, proprio come lei aveva ordinato. Non contenta, la ragazza scese dal palco con un balzo aggraziato e prese a passeggiare tra i tavoli. Si rivolse a quelli che erano rimasti fermi.

«Il nostro Dio è arrabbiato
perché nessuno ha capito
che il denaro non conta niente
anzi, è nemico della gente.
Adesso è il tempo di cambiare:
saltellate senza obiettare!
E alla fine di questa canzone
amerete la vostra nuova condizione!»


Le ultime due frasi le disse con un tono decisamente assertivo. Tutto il pubblico si alzò in piedi e cominciò a saltare senza motivo. I due buttafuori, a quel punto, uscirono dalla trance in cui erano caduti per via della natura bizzarra di quel comportamento. La ragazza notò subito il pericolo e si avvicinò a loro ballando come se nulla fosse.

«Usare la forza non è divertente,
lasciarmi fare è più prudente.
Fate solo quel che dico:
non muovete neanche un dito!
È questo ciò che vi comando ora
se desiderate vivere ancora.»


I due si immobilizzarono all’istante e la ragazza ancheggiò, cantando, verso il punto in cui aveva parlato con Joban.

«La ricchezza è una follia,
conduce solo alla pazzia.
Ma se cerchi redenzione
ti do io la soluzione:
batti le mani e pensa che
la povertà ti farà re!»


Mentre tutti i presenti battevano le mani a tempo, lei si poggiò al bancone dell’oste e attese che lui uscisse dalla cucina con dei piatti fumanti fra le mani. A quel punto si trovarono faccia a faccia e lei lo canzonò con fare soddisfatto.

«Come vedi ci so fare,
sono la più brava ad ammaliare!
E non mi piace chi è taccagno,
chi vuol fregarmi sul guadagno!
Quindi resta fermo e stai buono
non emettere neanche un suono.
Fai solo quello che ti dico,
e non sarai mio nemico.»


Appena si rese conto che l’oste era sotto il suo potere, la ragazza si allungò verso le cucine. Sapeva che i servi erano i più facili da controllare, quindi gli dedicò giusto poche parole.

«Cuochi cari! Orecchie a me!
Lasciate i coltelli senza ma e senza se!
Adesso sedete e allarmi non date,
perché sono certa che anche voi mi amate!»


Esattamente come lei aveva richiesto, i servi sedettero per terra con espressione imbambolata. Ridacchiando soddisfatta, la giovane tornò alla sala ed urlò felice:

«Ballate e cantate senza alcuna inibizione!
Regalatemi tutti i vostri averi senza alcuna ragione!»


Tutti i presenti, nessuno escluso, si recarono davanti alla giovane a donare tutto ciò che possedevano: dai gioielli ai sacchetti pieni d’oro, dalle spade ai gingilli magici più strani. Lei intascò tutto senza alcuna distinzione, anzi, fece in modo che la gente inserisse gli omaggi direttamente nella borsa incantata senza che lei li toccasse.
Mostrava uno sguardo compiaciuto, immaginando già tutte le scuse e i rimborsi che l’oste avrebbe dovuto elargire per aver salvo l’onore. Meritava di soffrire per ogni cliente perso o che non avrebbe mai avuto a causa della sua stupidità a cupidigia.
Una volta che tutti ebbero lasciato qualcosa, la giovane raccolse il suo mantello e lo indossò come una principessa pronta all’incoronazione. Stufa di spostare i capelli che le cadevano sul viso, li raccolse dietro il capo con un nastro e solo allora Hielf, mentre la sua bellezza e l’abilità nell’ammaliamento altro non potevano significare che radici nel mondo delle Nienphe.
Dopo aver riposto arpa e coroncina nella borsa, la giovane intonò un’ultima volta il suo ritornello e alla fine aggiunse:

«Buona notte cari amici!
Dimenticatemi e siate felici!»


Detto questo, scrutò con maniacale attenzione i visi di tutti suoi donatori per controllare che nessuno si fosse accorto dell’imbroglio. Con un gesto armonioso alzò il cappuccio del suo mantello e sparì nella notte lasciandosi alle spalle il vento dell’Ovest.





Simona Affabile © 2020
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